In
passato la dottrina e la giurisprudenza facevano registrare la tendenza a
ricondurre il rapporto tra paziente e struttura sanitaria nell’alveo della
responsabilità aquiliana di cui all’articolo 2043 c.c.
L’evoluzione
giurisprudenziale ha portato nel corso degli anni ad affermare la natura
contrattuale di codesto rapporto. Infatti, la giurisprudenza ritenne di dovere disciplinare il
rapporto in questione alla stregua di un contratto
di prestazione d’opera intellettuale in base agli articoli 1176 e 2236 del
codice civile.
In
particolare, la Cassazione nel 2001 ha stabilito che “il ricovero del paziente in una struttura (pubblica o privata) deputata
a dare assistenza sanitaria avviene sulla base di un contratto tra il paziente
stesso e il soggetto gestore della struttura e l’adempimento di tale contratto,
con riguardo alle prestazioni di natura sanitaria, è regolato dalle norme che disciplinano la corrispondente attività del
medico nell’ambito del contratto di prestazione d’opera professionale, con la
conseguenza che il detto gestore risponde dei danni derivati al paziente da
trattamenti sanitari praticatigli con colpa alla stregua delle norme di cui
agli articoli 1176 e 2236 c.c. Il positivo accertamento della responsabilitÃ
dell’istituto postula, pertanto, pur sempre la colpa del medico esecutore
dell’attività che si assume illecita”[1].
In base a tale orientamento, dunque, la responsabilità del medico è presupposto
indefettibile per l’affermazione della responsabilità contrattuale della
struttura sanitaria nella quale la condotta dello stesso, ritenuta illecita, è
stata posta in essere.
L’evoluzione
giurisprudenziale ha portato non solo a sottrarre il rapporto tra paziente e
struttura sanitaria dall’ambito della responsabilità aquiliana, ma anche a
riconsiderare la stessa natura contrattuale di tale rapporto. Infatti, si è
seguita un’impostazione secondo cui, da un lato, il rapporto struttura
sanitaria – paziente è qualificato come un contratto di assistenza sanitaria
(definito anche contratto di spedalità ); dall’altro, detto rapporto è stato
considerato autonomo rispetto a quello medico – paziente, nel senso che può
sussistere responsabilità della struttura pure in assenza di una responsabilitÃ
del medico che in essa opera.
A
proposito del primo aspetto, è stata la giurisprudenza di merito ad affermare
per prima che il contratto stipulato dal paziente con la struttura sanitaria ha
un contenuto complesso, avente ad oggetto non soltanto la prestazione
diagnostica e terapeutica, bensì anche una serie di prestazioni accessorie
quali ad esempio la somministrazione del vitto, la somministrazione di farmaci,
la predisposizione di un ambiente adeguato per la degenza, etc.[2].
Tale
impostazione è stata poi corroborata dalla giurisprudenza di legittimità , secondo
cui “ il rapporto che si instaura tra la
casa di cura ed il paziente, anche nell’ipotesi in cui quest’ultimo scelga al
di fuori della struttura sanitaria il medico curante, non si esaurisce nella
mera fornitura di prestazioni di natura alberghiera, ma consiste nella messa a
disposizione del personale medico ausiliario e di quello paramedico nonché
nell’apprestamento dei medicinali e di tutte le attrezzature necessarie ……. è
perciò configurabile una responsabilità autonoma e diretta della casa di cura ove
il danno subito dal paziente risulti causalmente riconducibile ad una
inadempienza alle obbligazioni ad essa facenti carico, a nulla rilevando che
l’eventuale responsabilità concorrente del medico di fiducia del paziente
medesimo sia ancora da accertare in altro separato processo[3].
Pertanto, sono posti a carico della struttura sanitaria, oltre alla
prestazione medica in senso stretto (diagnostica o terapeutica), anche una
serie di obblighi accessori. Questa è appunto l'essenza del contratto di assistenza sanitaria, definito anche di spedalità .
Per
quanto attiene, invece, all’autonomia del rapporto tra medico e paziente
rispetto a quello che lega il paziente alla struttura, la Cassazione, a Sezioni
Unite, ha evidenziato che quest’ultima risponde in base ai principi generali
sanciti dall’articolo 1218 c.c. per gli obblighi c.d. accessori derivanti dal
contratto con il paziente; inoltre, risponderà ex articolo 1228 c.c. per il
fatto del medico dipendente[4]. A
questo proposito, pare opportuno ricordare un altra decisione della
giurisprudenza di legittimità nella quale la Cassazione, affermando l’applicabilitÃ
dell’articolo 1228 c.c., ha sottolineato come la responsabilità della struttura
sanitaria non è esclusa “dalla
circostanza che ad eseguire l’intervento sia un medico di fiducia del paziente,
sempre che la scelta cada su un professionista inserito nella struttura
sanitaria, giacchè la scelta del paziente risulta in tale ipotesi operata pur
sempre nell’ambito di quella più generale ed a monte effettuata dalla struttura
sanitaria, come del pari irrilevante è che la scelta venga fatta dalla
struttura sanitaria con consenso (anche tacito)del paziente”[5].
In
definitiva, nel giro di meno di quindici anni, la Cassazione ha rivalutato la
natura del rapporto tra struttura sanitaria e paziente, pertanto, un eventuale
inadempimento da parte della struttura non darebbe luogo a responsabilitÃ
aquiliana bensì a responsabilità contrattuale. Successivamente ha definito tale
responsabilità autonoma, svincolata da
un eventuale responsabilità del medico che in essa opera.
Nessun commento:
Posta un commento