mercoledì 14 maggio 2014

LA RESPONSABILITA' DELLA STRUTTURA SANITARIA NEI CONFRONTI DEL PAZIENTE: EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE

 
In passato la dottrina e la giurisprudenza facevano registrare la tendenza a ricondurre il rapporto tra paziente e struttura sanitaria nell’alveo della responsabilità aquiliana di cui all’articolo 2043 c.c.
L’evoluzione giurisprudenziale ha portato nel corso degli anni ad affermare la natura contrattuale di codesto rapporto. Infatti, la giurisprudenza ritenne di dovere disciplinare il rapporto in questione alla stregua di un contratto di prestazione d’opera intellettuale in base agli articoli 1176 e 2236 del codice civile.
In particolare, la Cassazione nel 2001 ha stabilito che “il ricovero del paziente in una struttura (pubblica o privata) deputata a dare assistenza sanitaria avviene sulla base di un contratto tra il paziente stesso e il soggetto gestore della struttura e l’adempimento di tale contratto, con riguardo alle prestazioni di natura sanitaria, è regolato dalle norme che disciplinano la corrispondente attività del medico nell’ambito del contratto di prestazione d’opera professionale, con la conseguenza che il detto gestore risponde dei danni derivati al paziente da trattamenti sanitari praticatigli con colpa alla stregua delle norme di cui agli articoli 1176 e 2236 c.c. Il positivo accertamento della responsabilità dell’istituto postula, pertanto, pur sempre la colpa del medico esecutore dell’attività che si assume illecita”[1]. In base a tale orientamento, dunque, la responsabilità del medico è presupposto indefettibile per l’affermazione della responsabilità contrattuale della struttura sanitaria nella quale la condotta dello stesso, ritenuta illecita, è stata posta in essere.
L’evoluzione giurisprudenziale ha portato non solo a sottrarre il rapporto tra paziente e struttura sanitaria dall’ambito della responsabilità aquiliana, ma anche a riconsiderare la stessa natura contrattuale di tale rapporto. Infatti, si è seguita un’impostazione secondo cui, da un lato, il rapporto struttura sanitaria – paziente è qualificato come un contratto di assistenza sanitaria (definito anche contratto di spedalità); dall’altro, detto rapporto è stato considerato autonomo rispetto a quello medico – paziente, nel senso che può sussistere responsabilità della struttura pure in assenza di una responsabilità del medico che in essa opera.
A proposito del primo aspetto, è stata la giurisprudenza di merito ad affermare per prima che il contratto stipulato dal paziente con la struttura sanitaria ha un contenuto complesso, avente ad oggetto non soltanto la prestazione diagnostica e terapeutica, bensì anche una serie di prestazioni accessorie quali ad esempio la somministrazione del vitto, la somministrazione di farmaci, la predisposizione di un ambiente adeguato per la degenza, etc.[2].
Tale impostazione è stata poi corroborata dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “ il rapporto che si instaura tra la casa di cura ed il paziente, anche nell’ipotesi in cui quest’ultimo scelga al di fuori della struttura sanitaria il medico curante, non si esaurisce nella mera fornitura di prestazioni di natura alberghiera, ma consiste nella messa a disposizione del personale medico ausiliario e di quello paramedico nonché nell’apprestamento dei medicinali e di tutte le attrezzature necessarie ……. è perciò configurabile una responsabilità autonoma e diretta della casa di cura ove il danno subito dal paziente risulti causalmente riconducibile ad una inadempienza alle obbligazioni ad essa facenti carico, a nulla rilevando che l’eventuale responsabilità concorrente del medico di fiducia del paziente medesimo sia ancora da accertare in altro separato processo[3]. Pertanto, sono posti a carico della struttura sanitaria, oltre alla prestazione medica in senso stretto (diagnostica o terapeutica), anche una serie di obblighi accessori. Questa è appunto l'essenza del contratto di assistenza sanitaria, definito anche di spedalità.
Per quanto attiene, invece, all’autonomia del rapporto tra medico e paziente rispetto a quello che lega il paziente alla struttura, la Cassazione, a Sezioni Unite, ha evidenziato che quest’ultima risponde in base ai principi generali sanciti dall’articolo 1218 c.c. per gli obblighi c.d. accessori derivanti dal contratto con il paziente; inoltre, risponderà ex articolo 1228 c.c. per il fatto del medico dipendente[4]. A questo proposito, pare opportuno ricordare un altra decisione della giurisprudenza di legittimità nella quale la Cassazione, affermando l’applicabilità dell’articolo 1228 c.c., ha sottolineato come la responsabilità della struttura sanitaria non è esclusa “dalla circostanza che ad eseguire l’intervento sia un medico di fiducia del paziente, sempre che la scelta cada su un professionista inserito nella struttura sanitaria, giacchè la scelta del paziente risulta in tale ipotesi operata pur sempre nell’ambito di quella più generale ed a monte effettuata dalla struttura sanitaria, come del pari irrilevante è che la scelta venga fatta dalla struttura sanitaria con consenso (anche tacito)del paziente”[5].
In definitiva, nel giro di meno di quindici anni, la Cassazione ha rivalutato la natura del rapporto tra struttura sanitaria e paziente, pertanto, un eventuale inadempimento da parte della struttura non darebbe luogo a responsabilità aquiliana bensì a responsabilità contrattuale. Successivamente ha definito tale responsabilità  autonoma, svincolata da un eventuale responsabilità del medico che in essa opera.


[1] Cass. civ.,sez III, 8 maggio 2001, n.6386.
[2] Trib. Verona, 15 ottobre 1990; Trib. Monza, 7 giugno 1995.
[3] Cass. civ., Sez. Un., 1 luglio 2002, n. 9556.
[4] Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 577.
[5] Cass. civ., sez. III, 13 aprile 2007, n. 8826.

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