La responsabilità del ginecologo in
relazione ad una nascita che, in maniera poco elegante, può definirsi
“indesiderata” si profila in relazione a due ipotesi: la prima riguarda la nascita di un bambino
affetto da malformazioni; la seconda riguarda la nascita di un bambino
perfettamente sano ma non desiderato dai genitori perché troppo giovani,
immaturi o economicamente non in grado di garantire al neonato condizioni di vita dignitose.
Sull’argomento la
Cassazione si è pronunciata nel 2012 con una sentenza assai significativa,
addirittura epocale[1].
Con tale pronuncia la Suprema Corte riconosce per la prima volta il diritto del
minore, soggetto giuridicamente capace, ad ottenere il risarcimento del danno
derivante da malformazioni.
Il caso era quello di
una madre che aveva richiesto una serie di accertamenti per verificare la
sussistenza di malformazioni nel feto, subordinando la prosecuzione della
gravidanza alla mancanza di tali malformazioni. Il medico della Usl di
Castelfranco Veneto aveva prescritto in
luogo dell’amniocentesi, che avrebbe svelato la sindrome di Down del nascituro,
il Tritest, non rendendo edotta la donna della relativa debolezza statistica.
La Suprema Corte ha
sostenuto che il medico, nel caso specifico, fosse responsabile per la
violazione del “diritto di
autodeterminazione della donna nella prospettiva dell’insorgere , sul piano
della causalità ipotetica, di una malattia fisica o psichica”[2].
Per ciò che riguarda,
invece, la legittimazione del minore ad agire iure proprio al fine di ottenere il risarcimento del danno, va
detto che essa si basa sulla “sua stessa
esistenza diversamente abile, che discende a sua volta dalla possibilità legale
dell’aborto riconosciuto alla madre in una relazione con il feto non di
rappresentante rappresentato, ma di includente incluso”[3].
Assumendo questa posizione,
la Cassazione ha riconosciuto il diritto
a vivere la vita nel modo meno disagevole possibile, attribuendo al minore
portatore di tale disagio il diritto ad ottenere un equo indennizzo.